La denuncia in pillole #15

Il neo-liberismo è un’economia anti-costituzionale, La truffa del debito pubblico, Draghi il re dei derivati, Il dramma del DEBITO PRIVATO

Imposizione di una politica economica anti-costituzionale e suicidaria

“E’ stato massicciamente privatizzato il debito pubblico della Repubblica italiana, per far massicciamente indebitare anche i suoi cittadini.
L’indebitamento privato è cresciuto in Italia in maniera ancora più drammatica di quello pubblico: nei soli 5 anni successivi all’ingresso nell’Euro è aumentato del 71,2 % ed è passato dal 127% del 1995, all’attuale 190% del PIL. Ed il trend continua ad essere in ascesa incontrollata.”

Analizzando la politica imposta in tal modo agli italiani nei vent’anni appena descritti risulta, senza possibilità di smentita, una politica di stampo decisamente neo-liberista, per la precisione vicina alla scuola facente capo a Milton Friedman, premio Nobel per l’economia nel 1976, ed ispiratore di politici, quali Augusto Pinochet, Margareth Thatcher e Ronald Reagan.

Il neo-liberismo nutre fiducia assoluta nella “giustizia del mercato” e per tale motivo mira alla deregolamentazione del settore privato, compreso quello bancario e finanziario.
I suoi sostenitori asseriscono con assoluta certezza – abbondano le dichiarazioni pubbliche in tal senso degli autori del reato de quo, nonché dei “tecnici” con essi complici – che il privato è più efficiente, giusto ed “indipendente” del pubblico.
Da tale assunto deriva anche la massiccia privatizzazione, non solo delle imprese pubbliche d’importanza strategica, ma anche dei servizi pubblici essenziali, come la sanità e l’istruzione, la drastica contrazione della spesa pubblica ed il conseguente drammatico ridimensionamento del ruolo dello Stato nell’economia.

E’ facile rendersi conto quanto questa teoria economica sia lontana dagli obblighi che la Costituzione italiana pone in capo alla Repubblica.
La Legge fondamentale italiana non ha una visione certo liberista in fatto d’intervento statale nell’economia, anzi, rappresenta uno dei migliori esempi di quelle Costituzioni europee che hanno dato vita allo Stato sociale contemporaneo, che un tempo non lontano era il principale vanto delle democrazie europee sul resto del mondo.

Tuttavia è proprio quello che oggettivamente è successo all’Italia, da quando ha aderito al sistema di cambi fissi europei ed ancora di più dopo l’adesione ai parametri di Maastricht, all’Euro ed al Trattato di Lisbona.
Le istituzioni, come visto non democratiche, né trasparenti del sistema europeo, hanno imposto all’Italia un regime di stampo liberista, del tutto estraneo al dettato Costituzionale.

Gli Stati Uniti hanno potuto contrastare gli effetti avversi della crisi del settore privato tramite il più tradizionale ed efficace dei rimedi – indicato già negli anni ‘30 dal padre della moderna macroeconomia John Maynard Keynes e che trovò realizzazione e dimostrazione di efficacia nel New Deal, seguito alla Grande crisi del 1929 -, ossia tramite l’immissione di enormi quantitativi di liquidità, si calcola circa 29.000 miliardi di dollari, cosa replicata anche di recente dalla Federal Reserve.
Contemporaneamente, ciò veniva impedito dalla BCE a tutti i Paesi Euro ed, anzi, era loro imposta la misura esattamente contraria: l’austerity, ossia la riduzione drastica ed indiscriminata della spesa pubblica ed il contestuale aumento della tassazione.

Oltre le mistificazioni relative allo spread ed al controllo della stabilità dei prezzi e dell’inflazione, la più grande falsità diffusa dalle istituzioni europee e dagli autori del reato, è stata giustificare l’austerity con la necessità di ridurre i debiti pubblici ritenuti “troppo grossi”.
A parte la considerazione che è stato ampiamente dimostrato in economia che il debito pubblico nei Paesi a moneta sovrana altro non è che la ricchezza ed il risparmio dei privati; che in Paesi dall’economia fiorente, come in Giappone, c’è un rapporto debito/pil doppio rispetto all’Italia e che gli USA stessi, prima potenza mondiale, hanno un ingente debito pubblico, l’evidenza allarmante è che proprio negli anni dell’integrazione europea il rapporto debito/pil è cresciuto in modo esponenziale.

Analizzando la progressione storica, infatti, è chiaro che il rapporto debito/pil fino al 1979, per trent’anni, si mantenne al di sotto del 65%, ma, dopo l’adesione allo SME e l’inizio del processo di privatizzazione della banca centrale e della gestione monetaria, il rapporto addirittura duplica in 15 anni. Dopo l’adesione ai criteri di Maastricht nel 1992, aumenta del 20% in soli 3 anni, e dopo 15 anni, nel 1994 risulta duplicato al 121,8%. Dalla cd. crisi 2007-8 il rapporto è cresciuto di 30 punti percentuali, 7,7% in più nel solo 2013, passando dal 103,6 del 2007 al 133% del 2014.

Il rapporto debito/pil italiano è diventato il più alto d’Europa, assieme a quello della Grecia e, secondo le ultime analisi dell’Eurostat, aumenta a ritmi ben più sostenuti di quelli degli altri Paesi.
Ormai ammonta a 2.090 miliardi di euro: quindi, dopo il divorzio Ministero delle Finanze-Banca d’Italia nel 1981 si è quintuplicato e dal Trattato di Maastricht, in soli 30 anni, si è quadruplicato nel valore assoluto.
La restituzione progressiva, che richiede in maniera imperativa l’Europa, imponendo la riduzione fino al 60% di rapporto debito/pil, in presenza, come oggi, di una moneta-debito, significherebbe, secondo gli esperti, che l’Italia dovrebbe crescere a ritmi più sostenuti delle potenze emergenti (ossia fino al 10% circa di pil annuo), o tassare i cittadini e svendere il patrimonio come sta facendo ora, però ciò significa che per ripagare il debito, occorrerebbe cedere circa 1/4 del patrimonio nazionale, che ammonterebbe ad oggi a circa 8.000 miliardi.

Ma il vero problema è come questo debito è stato creato e viene gestito. Dopo l’ingresso nell’Euro, lo Stato italiano, come anticipato, non ha più una moneta propria, ma si serve di una moneta-debito. Lo Stato è stato ridotto alla stregua di un comune cittadino che deve indebitarsi con banche ed investitori privati, soprattutto stranieri, per poter spendere. L’Italia si è, dunque, massicciamente indebitata ed è costretta a pagare altissimi interessi sul debito, che continua a crescere perché denominato, appunto in una moneta straniera, su cui non ha potere.
Per questo il debito è destinato a crescere all’infinito e non è un “debito sovrano” – come amano ultimamente definirlo gli esperti economici sui media – ma, anzi, un debito pubblico definito tecnicamente esterno e ritenuto dannoso, perché lo Stato non ha necessità d’indebitarsi con i privati, quando detiene il potere sulla moneta.

La situazione si aggrava ulteriormente, perché gli Stati vengono anche invitati a sottoscrivere strumenti finanziari derivati, molto spesso titoli cd. tossici, per rispettare gli obiettivi imposti dall’Ue. E’ ormai noto, che, non solo la Grecia ne sottoscrisse d’ingenti per entrare nell’Euro, tramite le consulenze finanziarie di Goldman Sachs, di cui era responsabile per l’Europa all’epoca Mario Monti, ma anche l’Italia, sempre alla fine degli anni ’90, lo fece, quando era Direttore generale al Ministero del Tesoro Mario Draghi. Il Financial Times ha rivelato anche che quell’operazione, sottoscritta con JP Morgan, riguarda ancora oggi il 10% del debito italiano, 106 miliardi di euro. Non solo il Governo centrale, ma anche i governi regionali e comunali, nonché le aziende pubbliche e le banche nazionali sono state infiltrate dai consulenti di colossi anglo-americani della finanza – come Goldman Sachs, ma anche come JP Morgan, Morgan Stanley, Barclays Bank e le altre grandi banche d’affari – che consigliano ai manager pubblici operazioni finanziarie rischiosissime, volte a truccare – letteralmente – i bilanci, creando un sicuro indebitamento crescente per il futuro a carico della collettività.

Ne è un esempio eclatante, oltre al citato caso Libor, il caso Monte dei Paschi di Siena. Ancora una volta Mario Draghi, all’epoca dei fatti Governatore della Banca d’Italia, avrebbe dato l’approvazione all’operazione personalmente, come recentemente illustrato anche nell’esposto dell’Adusbef, che descrive le sue responsabilità, nonché quelle di Anna Maria Tarantola, attuale presidente della Rai, e di Fabrizio Saccomanni, attuale Ministro dell’Economia.

E’ stato massicciamente privatizzato il debito pubblico della Repubblica italiana, per far massicciamente indebitare anche i suoi cittadini.
L’indebitamento privato è cresciuto in Italia in maniera ancora più drammatica di quello pubblico: nei soli 5 anni successivi all’ingresso nell’Euro è aumentato del 71,2 % ed è passato dal 127% del 1995, all’attuale 190% del PIL. Ed il trend continua ad essere in ascesa incontrollata.

L’indebitamento privato è salito in tutti i paesi Euro, la cosa che colpisce, però, è che l’Italia prima degli anni ’90 aveva un debito privato di 20 punti percentuali sul pil inferiore a Francia, Regno Unito e Germania, che viaggiavano sul 150% e la Grecia era addirittura la più virtuosa con poco più del 50% del pil di debito privato (!).

L’unica che è riuscita ad ottenere una lieve contrazione dell’indebitamento privato è stata la Germania, che, non a caso, ha anche il rapporto debito pubblico/pil al di sotto del limite del 60% fissato dall’Ue.

I motivi drammatici di questa tendenza li ha spiegati la banca svizzera UBS in un report del 2013: al fine di sostenere la crescita economica, imprese e famiglie si sono indebitate. Tale analisi è stata più volte confermata dalla stessa BCE.

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